A12: A OGNI ROMEO LA SUA GIULIETTA

A12: A OGNI ROMEO LA SUA GIULIETTA

di Gippo Salvetti

Questo racconto è tratto dal libro "alfazioso"scritto da Gippo Salvetti ,presidente dell'Alfa Blue Team e possesore di una collezione di vetture Alfa Romeo del dopo guerra fra le più significative e numerose al mondo. 

Le foto sono di Sandro Bacchi.Ringraziamo l'autore e la casa editrice Fucina Editore per averci autorizzato alla pubblicazione di questo brano. 

Questo libro ed altri sono disponibili visitando il sito www.alfazioso.it

Chi ha avuto la bontà di leggere nella mia opera precedente, “Alfazioso”, le lodi tessute ai veicoli commerciali leggeri Romeo-F12 si tranquillizzi. Non ripeterò qui come, nel panorama omologato e banale della fine anni sessanta, i furgoni e i pulmini Alfa Romeo trasmettevano una verve una spanna sopra la concorrenza. Non ricorderò come, grazie alla trazione anteriore, lo sfruttamento dello spazio disponibile farebbe impallidire le moderne monovolume. Non cercherò di convincervi che se all'angosciosa richiesta di un'ambulanza si presentava un F12 “Croce d'oro", il malcapitato aveva il cinquanta per cento di possibilità in più di sopravvivenza, perché sarebbe arrivato prima all'ospedale. Non cercherò di convincervi di questo perché non lo credo neppure io. Ma mi piacerebbe tanto pensarlo. Non vi tedierò neppure raccontando come, già piuttosto rari allora anche a causa di un prezzo da vero amatore, i veicoli commerciali Alfa Romeo erano poco diffusi e sono ora del tutto scomparsi dalla circolazione. Non tenterò neanche di suggerirvi che pur bisogna che qualche volenteroso ne lasci traccia i posteri. I quali, a forza di lasciti, ne devono avere anche le tasche piene. Non vi tormenterò con considerazioni tecniche che solo gli ammalati di “virus alfa" possono comprendere. Vi dirò soltanto perché un A12 “pianale trasporto autovetture” è legato a molte, tante delle vetture che compongono oggi l'Alfa Blue Team. 

La memoria corre alla metà degli anni settanta quando, in quel di Segrate, grande sobborgo alle porte di Milano, mi imbatto in una piccola officina con un piccolo cortile al cui interno era parcheggiato un A12 con sopra una Giulietta spider. Questa non è, come nei tram, una fermata facoltativa. Ma obbligatoria. Entro, curioso, chiedo, chiacchieriamo, parliamo e diventiamo amici. Roberto Gementi alternava il lavoro di meccanico, profondo conoscitore e amante delle Alfa Romeo, a quello di servizio di rimozione veicoli per conto del Comune. Proprietario sin da nuova della Giulietta Spider normalmente parcheggiata sul carro attrezzi per non sprecare spazio, aveva scelto un A12 allestimento “Scattolini" per il suo lavoro. Una scelta alfaziosa. 

La sua cantina, come per S. Patrizio, era il suo pozzo, e per me come esser topo nel formaggio, tanto era il brulicare di vecchi pezzi ammassati in un incalcolabile ordine disordinato. Suo padre non buttava via niente e lui, in compenso, anche. Così per anni divenne il mio fiancheggiatore nell'attività di salvare Alfa abbandonate che immancabilmente venivano caricate sull'A12 arancione che assurgeva al ruolo di novella arca di Noè. Con l'unico limite che le vetture erano “single” e non a coppie, ma la riproduzione si sarebbe assicurata negli anni a venire. 

In più il buon Gementi e il suo A12 furono ancora di salvezza quando un manicotto scoppiato sull'autostrada, una valvola che aveva deciso di pensionarsi anticipatamente o un differenziale polverizzato sulla Serravalle, facevano squillare il suo telefono alle due di notte: “Son qui fermo con la 2600...” “Arrivo!” era la risposta. E con il pigiama sotto il giaccone lo vedevi affiorare dalla nebbia padana alla guida del suo “Scattolini” con il suo lampeggiante arancione che dava lo stesso, sottile piacere di veder apparire il faro di Le Havre dopo una notte passata a lottare con l'Atlantico.

Ecco, questo sentimento di profonda sicurezza di chi, lontano dalla costa, trova il rimorchiatore che lo conduce al sicuro, l'ho condivisa molto più di una volta allo scorgere di quel musetto arancione. Ma non pensate a una congenita fragilità delle mie vecchie Alfa, quanto piuttosto all'uso quotidiano che ne facevo e alla mia pessima capacità (e scarsa pazienza) di risolvere sul posto anche i piccoli inconvenienti. Comprensibile quindi che mi affezionassi a quella lunga sagoma che per tante volte, puntuale come una cambiale svizzera, venne, vide e riportò. 

Quando si trattò di ritirare due importanti automobili a seicento chilometri di distanza, l'accoppiata Gementi&A12 si fece in quarantotto ore andata-ritorno-andata-ritorno. E più della metà del percorso in abbondante sovraccarico oltre i 1.100 kg ammessi formalmente di portata sul libretto. Quando, prima che il proprietario cambiasse idea, si fulminò a ritirare la 6C 2500, fece il ritorno quasi a passo d'uomo, nel timore di perdere per strada sì onusto e prezioso carico. 

Non si arrese neppure per portare a casa, dall'entroterra ligure, un A12 camper tanto più grosso di lui che non so neppure come potessi starci. Ma soprattutto non volli mai saperlo. 

Così, le invenzioni del Gementi rasentavano la pazzia sconfinante nell'ingenuità razionale. Un’altra volta per esempio, l'amico Eugenio Ballarin decise di tornare una domenica sera da Rovigo a Milano, alla guida della sua Giulia Diesel, con al traino il carrello caricato con la Giulietta Sprint Veloce. Era tardi, perché Eugenio, abituato ai turni di notte in ospedale, non disdegnava viaggiare sotto le stelle, al fresco e con il traffico rarefatto. La Giulia, alle due di notte, giunta a Casteldario, città natale di Nuvolari, decise che lì doveva esalare l'ultimo respiro. E lo fece.

Telefonata nel cuore della notte al Gementi assonnato e, alle prime luci dell'alba, ecco il lampeggiante arancione affiorare dalla tiepida foschia mattutina a salvezza dell'alfista in panne. Chi ben comincia è a metà dell'opera, si dice, ma qui l'opera consisteva nel riportare a casa su un solo camion Giulia, carrello e Sprint Veloce. Se il camion avesse avuto il gancio di traino il problema l’avrebbe risolto anche un ragazzino: la vettura più importante sul pianale, carrello agganciato con sopra l’altra vettura e, magari a passo d’uomo, tutti a casa. Ma la struttura dell’A12, senza un telaio tradizionale come negli autocarri “pesanti”, un posteriore tutto a sbalzo dietro il retrotreno, non ha mai previsto l’ancoraggio di un robusto gancio di traino regolarmente omologabile. Anche al più candido ottimista poteva sembrare impresa disperata, ma non per il Gementi avvezzo a risolvere con italica fantasia (e sfacciataggine) situazioni ben più complesse. La Giulietta Sprint Veloce al sicuro sul pianale, la Giulia agganciata alla sbarra rigida dietro il camion e il carrello agganciato alla Giulia! Un convoglio del genere era talmente fuorilegge che, la leggenda narra ma corrisponde al vero, due agenti della Polstrada, vedendo sopraggiungere la lunga carovana sulla statale, dopo il primo istinto di sollevare la paletta e intimare l'alt, la seguirono ammutoliti con lo sguardo, senza credere ai loro occhi. E quando, ripresi dallo stupore, avrebbero potuto farlo, forse mossi a compassione lasciarono che la nebbia mattutina svanisse nella loro memoria quell’inusuale convoglio. Per giusto senso di riconoscenza, l'A12 carro attrezzi non poteva quindi mancare nella collezione, ma quando l'amico Gementi, dovette sostituirlo con uno più grande e moderno, rimasi perplesso dall'ingombro di spazio che necessitava per un giusto e meritato ricovero. Così me lo lasciai sfuggire... 

Qualche tempo dopo un piccolo tarlo iniziò a rodere. Mi ricordai che un amico carrozziere usava saltuariamente un A12 per le sue necessità. Una veloce telefonata ed ebbi la conferma che ancora lo utilizzava regolarmente: anche se solo un paio di volte al mese, ma si rivelava utile per qualche servizio urgente. Lo aveva comprato nuovo nel 1970 e in venticinque anni aveva percorso solo 67.000 kilometri! Bianco, allestito dalla carrozzeria Introzzi di Como, che spesso si era cimentata su versioni speciali del Romeo-F12, la notte dormiva sempre al coperto in officina e alla manutenzione provvedeva direttamente il personale della carrozzeria. Certo iniziava qualche segno del tempo: un faro ingiallito, qualche graffio qui e là, il bianco ingrigito dagli anni, ma l'importante era strappare la promessa, facile data l'amicizia di tanti anni, che quando sarebbe venuto il momento...

E il momento come sempre arrivò. Un paio d'anni più tardi, l'amico Emanuele decise che era giunta l'ora di vender tutto e sostituire il profumo del solvente con quello del mare. E al prezzo di una utilitaria da rottamare, l'A12 cambiò anch'esso aria e compagnia e la notte adesso non dorme più tra lamiere accartocciate ma, se mai, arrugginite. Una bella rinfrescata e il bianco è tornato splendente come i denti dei bambini americani, un tagliando un po' più approfondito, un paio di gomme più rassicuranti ed eccolo ancora, se richiesto, sulla breccia. Non che guidare un A12 “pianale” sia emozione da correre a raccontare al capannello degli amici, ma sedersi sulla guida “avanzata” con dietro un piano che ricorda una piccola Forrestal, ti fa continuamente guardare nello specchietto nel dubbio che tutto il posteriore segua sempre l’anteriore. 

A vuoto, il motore allegro, lo sterzo diretto, le ruote anteriori sotto il sedere, ti possono indurre in tentazione di fare qualche “numero” anche in mezzo al traffico cittadino. L'abitacolo piccolo, accogliente, a due soli posti visto che in mezzo borbotta il quattro cilindri della Giulia 1300, se non fosse per l'arcaica insonorizzazione del motore, praticamente in cabina, permetterebbe anche un certo relax in viaggi di media percorrenza. Ammesso di essere abituati, oggi, a una andatura di 70-80 km/h di vedersi sfrecciare davanti una vecchia Panda Diesel. I cinquantatré cavalli, DIN fortunatamente, non sono certo al livello degli odierni autocarri leggeri, ma erogati da un bialbero di alta genealogia che nelle versioni più spinte superava abbondantemente i cento, sono una reale garanzia di robustezza e longevità. Certo, non mancarono quelli che ci trapiantarono un 1600 depotenziato, unito al cambio a cinque marce, per trovarsi tra le mani un vero folletto adatto a macinare, con la stessa allegria, chilometri e giunti di trasmissione.

No, il mio A12 è come mamma Alfa e papà Introzzi lo fecero, e se anche gli autocarri hanno un cuore, ora da buon figlio di Romeo ha ritrovato lieve il carico delle sue Giuliette...

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